giovedì 23 luglio 2009

Corpo senza organi

" E legatemi se volete,
ma non c'è nulla di più inutile di un organo.

Quando gli avrete fatto un corpo senza organi,
lo avrete allora liberato da tutti i suoi automatismi e reso alla sua autentica libertà.

Allora gli insegnerete di nuovo a danzare all'inverso
come nel delirio delle balere
e l'inverso sarà il suo autentico luogo. "

(Antonin Artaud, Pour en finir avec le jugement de dieu)

giovedì 16 luglio 2009

La memoria in Pupi Avati


In Festa di laurea, Regalo di Natale e Rivincita di Natale, c'è un uso costante ma diverso della memoria/flashback.
In Festa di Laurea, la memoria viene documentata dall'avvocato come cinema/finzione della realtà, e verrà poi riproposta appunto come finzione di una festa andata bene all'interno della ben più alta finzione che è il film stesso. Tale meccanismo si abbraccia perfettamente con l'idea della finta festa di Laurea (in raltà la studentessa non aveva conseguito la laurea dal momento che aveva finto di aver finito gli esami), e la memoria cinematografia che l'avvocato vuole avere difatto è la memoria di una festa falsamente riuscita di una finta laurea. Un'inganno nell'inganno. La stessa festa per Carlo Delle Piane è importante in quanto legata alla memoria di un bacio datogli dalla madre della festeggiata.
Nel Regalo di Natale, la memoria vene utilizzata per spiegare un po' alla volta allo spettatore come mai il rapporto tra Franco (Diego Abatantuono) e Ugo (Gianni Cavina) si era negli anni deteriorato, facendo in modo che lo svolgersi del film divenisse oltremodo un ricordare gli avvenimenti passati per poterli esorcizzare e ricostruire un'amicizia perduta.
Nella Rivincita di Natale, la memoria dei giocatori ripercorreva la partita di vent'anni prima, allo scopo filmico di creare la tensione dei vari momenti topici del film (la perdita della partita, le giocate particolarmente rischiose), sia allo scopo metafilmico di illustrare allo spettatore il perché i rapporti tra i personaggi erano diventati quelli che erano.


mercoledì 1 luglio 2009

L’immagine e lo specchio

Guardarsi allo specchio, notare la propria immagine ribaltata orizzontalmente che ti guarda, vedere il proprio viso spesso mutato dall’unto che ricopre lo specchio in un impossibile ritratto alla William Turner, in cui assurdi luccichii convivono con puntini escrementizi di mosche che copulavano con la propria immagine giorni prima... E quella distanza che intercorre tra te e la tua immagine riflessa, che non riesci ad annullare nemmeno toccando la superficie dello specchio, strutturalmente dovuta al vetro che ricopre il cromo ma che diventa simbolo dell’impossibilità di congiungersi con se stessi, di essere se stessi, non solo spazialmente, ma anche temporalmente, visto che l’immagine riflessa è sempre otticamente asincrona, relativisticamente non-simultanea.
Nel posizionarci all’interno di due specchi affissi alle ante di un armadio (non) vediamo la nostra immagine ripetersi indefinitamente ma comunque finitamente, come ci assicurano le leggi dell’ottica, in una successione di ritratti che immortalano nell’attimo l’evoluzione degli ultimi istanti: ogni immagine è “ferma” nel passato e più l’immagine è lontana, più è immagine di ciò che eravamo... milionesimi di secondo prima.

Nel guardarci allo specchio (non) vediamo il nostro invecchiamento.

Lo sguardo muore prima dell’immagine riflessa.