venerdì 15 ottobre 2010

Alice 001

Questa è una cosa che ho scritto tempo fa. Stavo non-bene, avevo bisogno di qualcosa che non sapevo neanche definire. Ora so che sei tu.

Questo pensiero non è nessuna parola, si è sciolto in me come polvere e ora si è raggrumato in qualche zona del mio organismo che devo ancora scoprire.
E' una pietra verde di solitudine che non vedrà mai la luce.
A meno che qualcuno non mi apra.

'Vorrei un giorno morire nella tua testa e resuscitare nel bel mezzo del tuo Dolore, fra le tue gambe': se amassi un Uomo con il volto attraversato da una grande cicatrice, gli farei un ritratto dove sanguina ancora e sarebbe, per lui, come guardarsi in una foto da bambino.
Rimarrei incinta delle sue lacrime, come sono già gravida della mia malinconia e questi due feti di fuoco rosa finirebbero per schiacciarsi, finirebbero per unirsi, generando già prima di essere generati e andandosene, lascerebbero il mio corpo disteso (come nell'inutilità dondolante di un gancio da macellaio) a chiedersi: "A cosa stavo pensando?" e il rumore di questa domanda rimbalzerebbe su tutte le pareti della stanza, penetrando tutto ciò che riesce, come un lavandino che perde come un lavandino che perde come un lavandino che perde.

Io sono ora una casa vuota, dopo il trasloco, che cerca, da sola, di afferrare le chiavi per aprirsi, tendendo le sue pareti verso il pavimento.
"Aprimi il tuo cuore", dice il televisore, "In questo caso è necessario operare d'urgenza", si risponde con un'altra personalità catodica.

"Scusami, mi sono distratta": stavo immaginando amplessi con trapianto di memorie a lungo termine, per non essere mai soli, stavo immaginando occhi da cerbiatto tumefatti ed enormi lividi di riconoscenza blu, da mostrare come le cicatrici di un guerriero che ha fatto il suo dovere.

Sento l'amore infinito che proverò con un cranio fra le mie mani.

Alice

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