giovedì 4 novembre 2010

Infernal Ready-made

Prologo

La parola si rivela come carne ritornata verbo, come un virus venuto dall'altrove per attaccare e conquistare il sistema sensoriale e permettere all'uomo contagiato di RELAZIONARE tramite suoni, giocando con quelle bombe inesplose che sono le parole, poiché, nei giochi di parole si nasconde il segreto del Creato, la genesi di qualcosa non predestinata a nascere ma concepita parallelamente ad un altro significato che, come un embrione parassita, ne utilizza il corpo per portare a termine la sua gravidanza e nascere. Le parole sono ready-made e i ready-made portano con sé l'Inferno:

Infernal ready-made

Si accorse che l'ago con il quale stava giocando era il passaggio spazio/tempo tra il nostro mondo e il mondo rallentato dell'eroina.

Come se una madre sifilitica giocasse con il pene del proprio neonato, cercando, sotto la pelle, la rosea freschezza di un glande immaturo.

Perché smettere proprio ora? Aveva portato le proprie fibre all'eccesso e poteva ancora continuare nella scalata iperbolica del proprio Io.

Alla seconda contrazione capì che qualcosa era andata male: si formarono strane smagliature sul suo ventre che modellavano un nascituro mostruoso.

E tirò indietro l'orologio di alcune ore, tenendo così conto del diverso fuso orario presente nel mondo dell'eroina.

Sempre più spesso, il vomito mi sembrava più interessante del 90% dei quadri presenti nei musei di arte moderna.

E vide dentro di se il feto pregarla affinché non realizzasse il terribile piano che gli aveva riservato.

L'uccidere mosche era per lui un modo di archiviare le salme anonime di Auschwiz e Dacau.

Abbondando con l'estremismo sadomasochista in un amplesso che durò pochi secondi: il tempo di morire.

Giunse il ciclo, fiume in pena che portava con se i detriti dell'architettura uterina.

Sembrava quasi che l'azzurro del cielo entrasse per intero nella sua pupilla dilatata.

L'umanità sparì nell'attimo in cui il bimbo si mise a sognare.

Fu così che conobbi l'Aids, in un cesso di una stazione.

Finché morte e colore si fusero insieme in un unico significato.

Notò proprio allora che il sangue sul pene era suo.

Doveva lavarsi di dosso quel pungente odore di urina.

Tutto quel panico per un banale cancro uterino.

Mi accorsi che l'ossigeno era finito.

Uscendo velocemente per non morire soffocati.

Alla fine saremmo morti tutti.

Guardava senza alcuna speranza.

Fitte di dolore.

Troppo tardi.

No.



Marcello Del Campo

(iS-ii-iEET)

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